Trump, e la sua personale partita a scacchi con Mr. Market.

Il 2 aprile, Donald Trump annuncia dazi “reciproci” in quella che definisce “Liberation Day”. Pochi giorni dopo, il 5 aprile, parte un sell-off sui Treasury USA. Gli investitori iniziano a temere l’impatto inflazionistico delle misure e l’imprevedibilità della politica economica americana.

Stephen Miran, consigliere economico di Trump, propone di ristrutturare il debito USA convertendo i Treasury a breve detenuti da esteri in obbligazioni perpetue a tasso zero. Un’idea estrema, che se anche solo presa in considerazione minerebbe la fiducia nei titoli americani, considerati finora il pilastro della sicurezza globale.

Miran suggerisce anche un ritorno al coordinamento Fed-Tesoro per abbassare artificialmente i rendimenti, come avvenne tra il 1942 e il 1951. Ma oggi, con il 30% del debito USA in mani estere, le implicazioni sarebbero ben più complesse.

Se il dollaro perdesse il suo status di valuta di riserva mondiale, le ripercussioni su deficit commerciale e debito sarebbero profonde.

Per chi investe, il messaggio è chiaro: un dollaro debole può aprire opportunità in euro e valute emergenti, ma la volatilità su bond e azioni USA potrebbe aumentare. I mercati, con le loro reazioni, restano un contrappeso fondamentale alle politiche più aggressive.


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$6.600 miliardi bruciati in due giorni. Panico sui mercati? Per niente!

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Il problema di lasciare i sodi sul conto.