L’eccezzionalismo Americano è finito?
Fonte: Report GMO
“American Unexceptionalism”: perché puntare solo sugli Stati Uniti oggi può essere un errore
Negli ultimi quindici anni il principale indice americano, l’S&P 500, che raccoglie le aziende più capitalizzate, ha dominato i mercati globali. Mentre la borsa in Europa arrancava, e la Cina deludeva in alcuni settori le aspettative, l’indice americano ha registrato performance straordinarie, superando le Borse degli altri Paesi sviluppati di oltre il 150%. Da qui nasce la “convinzione” diffusa che investire negli Stati Uniti sia sempre la scelta più sicura e profittevole, a partire dagli americani stessi che soffrono di “home bias”.
Eppure, secondo il recente studio di GMO, società di ricerca, dal titolo “American Unexceptionalism” (Q3 2025), questa percezione potrebbe essere ormai superata.
L’analisi infatti mostra che la gran parte dei rendimenti superiori dell’S&P 500 non deriva da una crescita eccezionale delle aziende americane, ma da alcuni fattori, difficilmente ripetibili: il rafforzamento del dollaro e l’aumento dei multipli di valutazione su tutti. In altre parole, gli investitori hanno pagato sempre di più per le stesse aziende, spinti dall’entusiasmo e dalla paura di restare indietro. Tutti vittima della FOMO?
Le vere protagoniste: le “Magnificent Six”
A trainare l’indice, negli ultimi decenni, sono state soprattutto poche società tecnologiche – Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon, Meta e Nvidia – che da sole rappresentano oltre il 30% dell’S&P 500. La loro crescita è stata straordinaria, è vero, ma ha oscurato la realtà del resto del mercato: il 60% delle aziende americane non è riuscito a raggiungere nemmeno il tasso di crescita “normale” del 6% annuo.
Il problema è che oggi tutto l’indice continua a essere prezzato come se fosse composto solo da colossi hi-tech, come il “cugino” Nasdaq, pur in presenza di sfide macroeconomiche complesse come dazi commerciali, rallentamento della forza lavoro e incertezza politica.
Un mondo di opportunità fuori dagli USA
Il report sottolinea come, dopo anni difficili, le aziende non statunitensi stiano tornando a crescere in modo solido: il rendimento fondamentale medio (cioè crescita dei profitti reali) delle società dell’indice MSCI World ex-USA ha superato quello dell’S&P 500 negli ultimi cinque anni. Le valutazioni, inoltre, sono più basse del 30–50% rispetto alle controparti americane. A parità di prospettive di crescita, comprare titoli europei o giapponesi oggi significa pagare la metà. Un’occasione che ricorda a tutti un principio cardine della finanza: non esiste un mercato vincente per sempre, anche se la nostra “memoria finanziaria” di umani è molto corta.
La lezione per l’investitore consapevole
L’idea che l’America sia “eccezionale” ha funzionato finché tassi bassi, dollaro forte e innovazione tecnologica hanno giocato a suo favore. Su questo non ci piove.
Oggi, con il dollaro sopravvalutato e i rischi interni in aumento, la diversificazione geografica torna centrale. Per l’investitore europeo, avere una parte del portafoglio su mercati extra-USA – come Europa, Giappone o mercati emergenti selezionati – non è una scommessa, ma una diversificazione ad-hoc fatta con buon senso. Significa ridurre la dipendenza dal “motore economico” americano e aumentare le probabilità di rendimento nel lungo periodo.
Conclusione
Il messaggio di “American Unexceptionalism” è chiaro: gli Stati Uniti restano un mercato importante, ma non più imprescindibile. La vera forza di un investitore oggi è saper guardare oltre i confini, mantenendo equilibrio, disciplina e consapevolezza.